Se è vero che alla montagna si da del Voi, è anche vero che, nell’ambito della sopravvivenza, l’ingegno e la sperimentazione sono i fattori che consolidano le tecniche. Tra quelle spesso dimenticate, in favore del più pratico GPS, vi è la marcia all’azimut. Se dovesse trattarsi di un teorema matematico, esordirei con un bel “supponiamo che…”. Fortunatamente, lontano dalle semplificazioni, la realtà può spesso rivelarsi più entusiasmante del ragionamento astratto.
Ecco che cosa è capitato giusto qualche giorno fa, prima delle chiusure forzate, durante un’escursione di due giorni sui terreni carsici del Supramonte di Orgosolo. Dopo una notte piacevole trascorsa tra i ruderi di Hampos Varjos, dove si domina la confluenza tra Titione e il Flumineddu, prima di Gorropu, il tempo minacciava qualche noia. Poiché la natura costituisce il più complesso e più concreto fra i manuali di sopravvivenza, le condizioni meteo sono spesso intuibili attraverso l’osservazione delle piante, dell’umidità, della stima dei gradienti di pressione (intuibili attraverso il moto delle nuvole), la forma delle nubi ed il modo in cui si riversano, quasi fossero cascate, su strapiombi a picco che sfiorano i 400m. Ecco che, verso mezzogiorno, in mezzo a quelle nubi, ci si spostava ad angolo di rotta nella direzione di un alto crinale, che si sviluppa a 1.200m di quota, per poi precipitare a poco più di 500m verso NW.
Inutile dire che, quando si decide di muoversi, occorre sempre valutare lo stato del terreno, la visibilità, la possibilità di sfruttare o meno copertura boschiva e ripari di vario genere. Talvolta, sui lunghi spostamenti, ci si può trovare nelle condizioni di non poter avanzare né retrocedere, a voler assumere un rischio nullo. Sempre talvolta, attraverso alcune valutazioni che mai devono essere frutto di improvvisazione, si possono assumere dei rischi calcolati. Queste sono dunque la valutazioni fatte per guadagnare terreno in condizioni poco favorevoli:
- precipitazioni: in arrivo, presumibilmente entro poche ore, non copiose, ma costanti;
- nebbia fitta con visibilità variabile tra i 10 e i 50m;
- umidità delle rocce: rischio cadute. Da evitare ishalas, terreni troppo esposti. La vegetazione, dove presente e praticabile, rende le rocce più sicure: trattasi pur sempre di rocce carbonati che, tanto taglienti quanto scivolose;
- disponibilità di supporti GPS, sebbene esclusivamente attraverso punti georeferenziati.
Il GPS, naturalmente, non ha alcuna utilità, quando si marcia fuori sentiero in mezzo alla nebbia, se non quella di fungere da bussola e contapassi. Il tempo scarseggiava. Erano necessarie alcune valutazioni precise relative anche alle proprie risorse, sia fisiche che psicologiche. Il percorso da seguire non era certo il classico sentiero di montagna ben tracciato e pulito. Tutt’altro. Si trattava di un fuori traccia nato proprio come tale. La domanda alla quale dare risposta riguardava la possibilità di intercettare qualche via per il ritorno, senza esporsi troppo in vetta, intersecando possibilmente qualche vecchio tratturo. La risposta era naturalmente affermativa, purché non ci si dimenticasse di quella faccenda del dare del Voi alla montagna.
In tal senso, quello che ne è derivato è stato un classico esempio di marcia all’azimut, obbligata, ma aiutata dalla scelta precisa dell’area di progressione. Questo è stato possibile grazie alla presenza di dettagli orografici utili come impluvi (asciutti) come qualche baccu, e qualche roccia prominente (bruncu). Per marcia all’azimut si intende quel tipo di progressione effettuata lungo una direzione definita da un angolo stabilito rispetto alla direzione del nord (appunto azimut). Il principio alla base di questo tipo di progressione è l’idea che il punto A e il punto F (vedasi immagine) siano virtualmente raggiungibili seguendo una linea retta. Dal punto di partenza (A), se vi fosse stata una visibilità discreta, sarebbe stato sufficiente misurare con la bussola l’azimut di un oggetto ben visibile lungo la direzione di marcia (indicato anche sulla carta e ben riconoscibile) per poi raggiungerlo. Una volta lì, sarebbe stato sufficiente considerare un nuovo particolare ben visibile e procedere alla stessa maniera, fino a raggiungere la destinazione. La nebbia, tuttavia, può costituire il più grosso impedimento. Dal momento che il territorio dei Supramontes è tutt’altro che regolare, specie quando si attraversano i campi solcati, occorre agire diversamente, aggirando in maniera sistematica i possibili ostacoli ‘invisibili’, ma ancora intuibili, senza allontanarsi troppo dalla direzione di marcia fuori sentiero originaria.
Per chiarire questo concetto è utile prendere in prestito il concetto del sistema di progressione ad angolo retto (esiste anche a 120°, ma è meno intuitivo). Partendo da A per raggiungere F, una volta giunto in B, si misura un angolo retto rispetto a quello della direzione di marcia, virando verso il punto C. La distanza percorsa, per quanto possa essere difficoltoso farlo su sentiero sconnesso, si può misurare in numero di passi, avendo cura di compierli il più regolare possibile, magari mettendo un sassolino in tasca ogni 50 passi per mantenere la conta. Una volta giunti al punto C si misura un secondo angolo retto, riportando la marcia sull’angolo di rotta originario. Ancora una volta si procede contando i passi, fino a un punto D. Qui si devia nuovamente ad angolo retto per dirigersi verso il punto E, cercando di ripetere grosso modo lo stesso numero di passi percorsi tra B e C. Una volta in E, si riprende l’angolo di rotta originario, muovendosi in maniera approssimativa lungo la retta di progressione originaria. Fin qui, tutto ciò parrebbe un gioco non troppo difficoltoso, se non fosse che … Quelle distanze calcolate con i passi, male si sposano con la natura ostica dei capi solcati, la presenza di vegetazione e le pendenze. Si tratta pur sempre di approssimazioni e, con una visibilità a dieci metri, ci si accorge soltanto della pendenza del versante montano. Con una buona carta in mano ecco che, però, qualche dettaglio è giunto in aiuto per consolidare il calcolo approssimativo della marcia all’azimut. La roccia prominente aggirata nella marcia all’azimut, degradava verso un impluvio (baccu) molto caratteristico e stretto, che si appianava in corrispondenza del punto F. L’ansa formata dall’impluvio (su baccu), ricalcava abbastanza bene il percorso utile per aggirare l’ostacolo (invisibile nella nebbia), ed era particolarmente utile come riferimento per la visibilità a 5-10 metri. Diverse ore di marcia, e i dovuti aggiustamenti, hanno infine consentito di imboccare una via per il ritorno, direzione nuraghe Lolloine. La via era pressoché inesistente. Riprendeva forma solo in una piccola oasi delle foreste primarie sopravvissute, dove qualche mullone segnava il passaggio.
Naturalmente, questo breve articolo non vuole essere nulla di esaustivo, né il racconto di qualcosa di particolarmente complesso. Costituisce giusto uno stimolo alla sperimentazione costante di chi scrive, e una curiosità per coloro che, eventualmente, potrebbero partecipare ai nostri corsi. Ciò che conta è aver ben chiaro il concetto di tecnica: esso è il sunto di molte nozioni teoriche e di una vastissima esperienza pratica. Teoria e Pratica si fondono insieme fino a dar vita alla Tecnica. In questo caso, le nozioni di topografia e navigazione supportano l’allenamento fisico e psicologico che caratterizzano la progressione in montagna. Per questo la montagna può essere bella e affascinante, ma potenzialmente ostica (o letale) senza la tecnica.